Iruya, il villaggio dell'Argentina fermo nel tempo

Viaggio per circa quattro ore nell’estremo nord dell’Argentina percorrendo strade in terra battuta e vallate vertiginose. Mi ricordano i sentieri nepalesi per raggiungere i villaggi dell’Himalaya.
Arrivo nella piccola Iruya che è già buio. Trovo ospitalità presso una gentile famiglia con due bimbi così belli che farebbero sciogliere il cuore anche ad Hitler.
Iruya fu fondata ufficialmente nel 1753, ma i primi abitanti si stabilirono qui circa un secolo prima. Erano principalmente aborigeni le cui radici più antiche risalgono agli Ocloyas, un popolo appartenente ad un gruppo etnico Inca. Oggi possiede meno di 1500 anime che vivono tra queste “cattedrali” in pietra d’inestimabile bellezza.
Ma il mio obiettivo è il villaggio di San Isidro, una realtà ancora più piccola, raggiungibile solo quando la stagione secca ritira le sue acque. Sono cinque chilometri di cammino in un lungo canyon sorvegliato dai condor andini, grandi e imponenti. Sembrano proteggere le vette colorate di queste stupende montagne. Il mio corpo comincia a sentirsi meglio dopo questa dose di solitudine.

Il villaggio ha pochissime baracche, qualche struttura in mattone e una chiesa in perfetto stato (sono sempre le strutture migliori), poi un campo di calcio improvvisato ed una scuola, fortunatamente anche questa in perfetto stato. Sul lato destro della collina c’è un ripido sentiero che porta ad un piccolo cimitero.
La famiglia che mi ospita sarà importante per questo mio personale ritiro dove mi staccherò completamente da tutto.
Pago anticipatamente per dieci notti la piccola camera chiedendo alla famiglia la cortesia di non venirmi a chiamare per nessun motivo, di non preoccuparsi nel caso non dovessero vedermi uscire dalla stanza per il resto della permanenza. Spegnerò il mio telefono e passerò le giornate in totale contatto con la natura, accompagnato solo dalla chitarra ed un diario con una penna.
San Isidro adesso sarà la mia Himalaya.
View the embedded image gallery online at:
http://www.worldwildtour.it/index.php/diario-di-viaggio/183-iruya-il-villaggio-dell-argentina-fermo-nel-tempo?tmpl=component&print=1&layout=default&page=#sigFreeIdf3f6acfcd2

Al mattino mi sveglio riscaldandomi con un tè bollente, mentre il sole si prepara a spuntare in fondo alla valle.
Quanto mi sento fortunato a poter assistere a tutto questo. Se solo penso al tempo che stavo perdendo rinchiuso in quattro pareti… Adesso invece mi ritrovo la mia vita totalmente stravolta. E non è un caso che ricordi solo le fredde mura che non lasciavano passare un filo di luce. Ho lavorato per quattordici anni dal nord al sud del paese e di tutte le città che cambiavo non ho una buona memoria, ma ricordo bene tutti gli uffici all’interno degli ospedali. Di quegli anni ricordo bene le ferie e qualche sporadico evento extra. Invece, dei tanti colleghi incontrati ricordo davvero poco, ancora meno dei dottori nelle sale operatorie o dei vigilanti che ogni mattina tiravano su la sbarra all’ingresso. Non ricordo un fornitore o un infermiere; eppure, il mio ruolo mi metteva in relazione ogni giorno con essere umani, dal lunedì al venerdì, per otto ore al giorno. Certo a queste ore vanno aggiunti i tempi per raggiungere il posto di lavoro, le telefonate fuori orario e più di tutto lo stress che ci si porta a casa fino alla sera, prima di chiudere gli occhi, speranzosi nel domani.
È stato quello stress a darmi continui problemi allo stomaco. I dottori dicevano fosse una leggera infiammazione dovuta ad una vita frenetica, spesso la parola divertimento viene associata proprio alla parola “vita frenetica”, quando il sinonimo più appropriato sarebbe la parola STRESS. Nessun dottore ti dirà mai che la pace la si trova ascoltandosi, ti diranno tutti però che stai correndo troppo, che hai bisogno giusto di qualche farmaco ed una veloce vacanza per distrarti un attimo. Poi sei pronto ad essere reinserito nel circuito. Sembra quasi una catena di montaggio, una combinazione identica che si sussegue sempre allo stesso modo. Un percorso che sembra però portare tutti sulla stessa strada, o meglio dire, fuori strada. Non c’è più gioia, non c’è felicità, non c’è amore. È questo il problema, non è rimasto più niente di cui essere felici. Avevo poche consapevolezze, una era che in questo modo non sarebbe mai cambiato niente. Io per colpa di quel sistema ero finito in una gabbia, rivestita di oro e diamanti, con lo champagne che sgorgava dai lavandini. Ma pur sempre una gabbia.
Quando la strada che hai intrapreso non rispecchia le tue ispirazioni ti conviene abbandonare il percorso, non serve soffrire ogni giorno sempre di più perché fa male, è tossico per il corpo, ammala la mente, affligge l’anima, fino a SPEGNERLA.
Oggi preferisco godermi la giovinezza e pagare con la vecchiaia quando sarà, se sarà. Preferisco vivere con la paura di non avere niente un domani, piuttosto che non vivere affatto!

Tags: Argentina

Stampa

Su questo sito usiamo i cookies, anche di terze parti. Navigandolo accetti.